Camminare è un’esperienza di vita, anzi un’esperienza di crescita.
Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia dove stare nella natura era un valore importante.
Fin da piccolissima ho viaggiato sui mezzi pubblici (bus, treni principalmente) e ho imparato la magica arte dell’attesa, a non avere paura dei cosiddetti “tempi morti” dello stare fermi sotto la pioggia o sotto il sole fino all’arrivo di un bus. Ho capito che il tempo è prezioso non per l’accumulo di azioni da compiere (e più se ne fanno meglio è, secondo una logica capitalistico-ottocentesca che ancora fa da padrona) ma perché ci permette di pensare, di osservare, di mettersi in un atteggiamento di profonda attenzione verso l’interno e l’esterno.
Ai miei tempi, anni ’80, ancora non esisteva la concezione “slow” della vita; c’era solo un timido ecologismo nascente, alimentato da cartoni animati che i bambini di oggi non saprebbero apprezzare perché immersi in un’altra cultura, come, ad esempio, “Conan” o “Barbapapà”.
Quando sono diventata mamma, ho capito che questo valore, questa sintonia con la natura, questo elogio delle lentezza in un mondo nevrotico e proiettato sempre verso un domani di mete irraggiungibili, non poteva restare un patrimonio esclusivo ma necessitava di nuova vita, di essere trasmesso come un’eredità.
È faticoso, nel senso letterale della parola, portare dei bambini piccoli in montagna, ma è proprio la fatica che caratterizza il cammino a essere per loro, un esempio, una metafora della vita che poi dovranno affrontare. E tuttavia la montagna non è solo sacrificio. Nel periodo di apprendistato, sono compresi gli insegnamenti che permettono di limitare il dispendio di energie: come nella vita, per camminare in montagna, esistono delle strategie e delle tecniche intelligenti che facilitano la soluzione dei problemi che la natura, in tutta la sua magnificenza ed estrosità, continuamente pone. Ma anche queste cose si apprendono con l’esperienza.
Tutti desideriamo arrivare in vetta velocemente e senza grosso dispendio di energie, inizialmente. Almeno finché questo cammino è nella nostra testa e in un certo senso in una realtà virtuale. Concretamente non è così, quasi mai. La vetta talvolta non è raggiungibile perché gli ostacoli vanno oltre la nostra capacità di superamento, oppure perché non abbiamo ancora abbastanza esperienza o più semplicemente perché qualcosa di bello e di più appagante del raggiungimento della vetta ci ha fermato a metà cammino.
La conquista non è la nostra bandiera sulla vetta, non è l’onnipresente “io” ma tutto il percorso, tutto il bagaglio delle esperienze che abbiamo raccolto durante il cammino, ciò che ci arricchisce in termini di umanità e di crescita. Non sono le illusioni, le proiezioni del nostro ego o dell’ego sociale a renderci vittoriosi ma ciò che realmente siamo, uomini e donne che affrontano con onestà d’animo il cammino della vita, accettando l’impetuosità del vento, il calore del sole, il sentiero impervio e sassoso, talvolta cercando riparo e soste, talvolta esponendosi a tutto per amore di un’autenticità che è sempre più difficile trovare dentro di sé.
C. R.