È questo il primo giorno di libera uscita. Finalmente sono autorizzata ad andare incontro ai boschi, ai torrenti, ai fiori e agli alberi per abbracciarli anche solo con lo sguardo. Questa mattina sono emozionata come una bambina al primo giorno di scuola.
Credo di aver perso l’abitudine al cammino, ma il corpo mi contraddice ricordando perfettamente ogni meccanismo del buon funzionamento.
Prima di raggiungere il “paradiso”, come sempre avviene nella vita, devo attraversare gli ultimi lembi di civiltà: poche strade di periferia pressoché deserte, radi volti nascosti dalle mascherine celesti.
Quando giungo al ponte sul torrente, in modo automatico, levo gli occhi al monte: benché circondato da nuvole minacciose, lo sento accogliente.
Il torrente Terzolle nasce sulle colline poco sopra Careggi, nella periferia nord di Firenze laddove la città cede il posto alla campagna. Fino a qualche anno fa era in stato di abbandono, ora dopo un ottimo intervento, è tornato a vivere grazie alla presenza di numerose anatre e aironi.
Passato un secondo ponte mi avvicino trepidante alla bellissima cascata non lontano dalla Loggia dei Bianchi, piccolo oratorio del secolo XVI che da più di 40 anni versa in condizioni critiche. Sento lo scrosciare a distanza e il mio cuore batte più forte per l’emozione.
La cascata è stupenda come sempre, e il suo veloce fluire evoca in me lieti ricordi d’infanzia. È alimentata dal Terzolle e dal corso di un suo affluente che in estate è in secca. Il panorama che si vede da qui è quello tipico toscano con prati, olivi alternati a boschi cedui.
Superato un altro piccolo oratorio risalente anch’esso al XVI secolo, la strada comincia a scendere riavvicinandosi al corso del torrente. Non sembra di essere ad un passo dalla caotica città; il Terzolle scende spumeggiante saltando sui massi e formando delle piccole rapide come se si trattasse di un corso d’acqua di montagna.
Mi soffermo a guardare estasiata il miracolo dell’acqua, un canto che riappacifica ogni disarmonia dell’anima.
Questo è il punto della confluenza con un’affluente molto importante, il Terzollina la cui valle si apre poco più avanti oltre un ponte che si affaccia sul suo corso.
Lascio la strada asfaltata e seguo una larga carrareccia. Respiro il profumo del bosco e sento che mi fa bene nel corpo e nell’anima. Ci sono ancora le pozzanghere frutto delle recenti piogge, le nuvole e il vento concorrono a rendere magica l’atmosfera. Nel silenzio odo il richiamo delle ghiandaie e le vedo volteggiare oltre le cime degli alberi.
Un sentiero a lato della via scende al torrente. La traccia prosegue oltre il corso d’acqua ma non è facile passare dall’altra parte: i sassi su cui poggiare i piedi sono scivolosi e irregolari.
L’acqua brilla un istante mentre il sole buca per un attimo l’oscurità dei nembi. Sono in una forra e l’aria è molto più fresca.
Osservo tutto lo splendore del luogo con un’avidità a lungo repressa e vedo che non sono sola: in una pozza dove la corrente non arriva, ci sono decine di girini che aspettano il loro tempo.
Medito e comprendo che nella loro fragilità c’è una grandissima forza, un moto contrario alla rassegnazione. Cerco di trarne un esempio di vita e ritorno sulla via maestra. La strada sterrata termina presso alcune case ma in compenso la valle si allarga su un bellissimo prato ricco di fioriture primaverili. Tra le tante, svetta, orgogliosa, una purpurea orchidea.
Tuona in lontananza. È tempo di tornare indietro. Sento che il mio tempo ha avuto la pienezza che desideravo e questo mi appaga.
Il torrente mi saluta con il suo canto. La primavera è sempre un inizio.
Chiara Rantini, 1 maggio 2020
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