Il valore dell’amicizia
.L’AMICIZIA è uno dei temi principali affrontati ne La resa delle ombre.
Il fondamento delle relazioni umane si basa sulla fiducia, sull’empatia, sulla capacità di mettere al secondo posto il proprio egoismo: tutto questo ha un nome, ed è amicizia.
L’amicizia non sempre è legata a situazioni positive; anzi spesso ha un ruolo importante nella vita proprio quando stiamo attraversando un periodo difficile. La persona amica è quella a cui ci rivolgiamo nella certezza di essere compresi e non giudicati. Non a caso, Seneca nella sua Terza lettera a Lucilio pone la fiducia come conditio sine qua non per qualsiasi vera amicizia.
Nel romanzo, Lena e Adrian, si scoprono amici quando la condivisione dello stesso dolore (la follia di Janis) li unisce in una sorta di legame fiduciario. Nei confronti di Janis, compagno di Lena e fratello di Adrian, operano in sinergia trascurando l’interesse personale in vista di un miglioramento delle condizioni fisiche e mentali del loro congiunto.
In questo frangente, la linea di confine tra amicizia e amore puro diventa poco distinguibile, come si evince da questo estratto:
“Adrian era ubriaco, inciampava di continuo e, noncurante del mio equilibrio altrettanto precario, si aggrappava ai miei vestiti. Avrei voluto rivelargli il peso del rimorso che mi tormentava dall’inizio della serata, ma il potere della musica aveva preso il sopravvento sulle parole. Una musica struggente, malinconica, a tratti paradisiaca, come se risuonasse da una lontana sorgente, ci incatenava in una danza improvvisata che, sollevandoci al di sopra della realtà, anestetizzava ogni nostro dolore.
Leggere, le dita si incrociavano, leggeri, i volti si sfioravano, leggeri, gli sguardi si increspavano come onde di marea.
«Sorellina mia…» soffiò sommessamente Adrian, «non ci abbandonare… mai.»
Trattenni le lacrime, nascondendo l’emozione nelle pieghe della sua camicia. La danza continuò ancora, finché, esausti tornammo a sedere. Avevo dolore in tutto il corpo e la testa sembrava una girandola impazzita, e tuttavia ero felice.”
Chiara Rantini, 2 maggio 2020
Prima divag-azione in Fase 2 – La valle del torrente Terzollina
È questo il primo giorno di libera uscita. Finalmente sono autorizzata ad andare incontro ai boschi, ai torrenti, ai fiori e agli alberi per abbracciarli anche solo con lo sguardo. Questa mattina sono emozionata come una bambina al primo giorno di scuola.
Credo di aver perso l’abitudine al cammino, ma il corpo mi contraddice ricordando perfettamente ogni meccanismo del buon funzionamento.
Prima di raggiungere il “paradiso”, come sempre avviene nella vita, devo attraversare gli ultimi lembi di civiltà: poche strade di periferia pressoché deserte, radi volti nascosti dalle mascherine celesti. (altro…)
MELANCONIA POETICA. Una recensione a UN PARADISO PER ICARO
Un paradiso per Icaro è un libro che si propaga oltre ogni contingenza, scritto per chi lo vuole cogliere.
Intimo ed emotivo. E Chiara Rantini è un talento fuori dal comune .
Ci sono poesie che sono come echi, risonanze in comunicazione, singhiozzanti e fluttuanti.
C’è un’intensità malinconica, quasi atmosferica.
Si capisce subito che è un libro scritto per amore. Con amore.
Ci sono poesie che materializzano fantasmi, altre che sono come respiri, altre ancora evocano ricordi.
La dimensione si fa metafisica, con l’anima di una melodia arcaica.
Leggendo le composizioni di Chiara , queste sono le cose che mi sono venute in mente: paesaggi densi di nuvole, vapori, una rassegna di elementi, sirene indolenti, i rintocchi della sera.
Sono in fin dei conti esigui frammenti, puntini luminosi a contrappuntare la notte scura, e l’intera struttura delle poesie vi si appoggia convinta.
In più parti del libro l’atmosfera si fa notturna e pensosa, le frasi rallentano e riverberano nell’aria.
In conclusione, un gran libro.
Meditativo, avvolto da una poetica quiete e ricca di spunti, che convince per maturità ed equilibrio, per la profondità dei contenuti e per la capacità di abbinare alla ricerca delle parole un senso di melodia e di sogno.
Daniele Cargnino
Chiara Rantini, Un paradiso per Icaro, Ensemble ed., Roma, 2018
Qui i link per l’acquisto:
https://www.lafeltrinelli.it/libri/chiara-rantini/un-paradiso-icaro/9788868813161
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https://www.amazon.it/paradiso-Icaro-Chiara-Rantini/dp/8868813165
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Domeniche d’infanzia e paradisi ritrovati. Un pomeriggio di poesia in una residenza per anziani
UN PARADISO PER ICARO. Letture in una residenza speciale
Una domenica pomeriggio d’estate. Molto caldo. Poche persone sulle strade. Il timore che il bus sia in ritardo perciò inforco la bici e attraverso l’Arno sulle due ruote per andare in un bel quartiere periferico di Firenze, ricco di verde e di tante belle iniziative culturali.
Sono molto emozionata perché è la prima volta che leggo le mie poesie in una residenza per anziani. Qualcuno mi conosce già, ma la maggior parte delle persone sanno solo che leggerò loro delle poesie.
Mi accolgono Verusca e Alessio che sono gli organizzatori di questa importante iniziativa, ovvero quella di portare “per l’ora della merenda” non pasticcini, ma parole poetiche, parole che confortano, che fanno sognare, che rendono la vita forse un po’ migliore.
Le mie poesie arrivano alla fine di un anno di incontri e così penso che per me sia più facile: credo che il pubblico abbia ormai l’orecchio pronto alla materia letteraria.
Comincio a leggere titubante. Poi arrivano le domande. La conversazione diventa fluida e io mi sento perfettamente a mio agio: è il miracolo della “corrispondenza”, dell’ascolto che si rende attivo e reciproco. Forse è solo il miracolo della poesia.
Il tempo corre veloce. Qualcuno è un po’ stanco, altri, soprattutto le donne vorrebbero sapere qualche altra notizia, qualcosa che renda più sottile la distanza tra il loro mondo e quello del mio “Paradiso per Icaro”.
Ma il pomeriggio volge al termine. Sulla terrazza assolata, sotto i grandi ombrelloni, saluto questo pubblico davvero speciale che mi ha dato veramente molto: un tesoro che porterò sempre con me e che, forse, un giorno si trasformerà in poesia.
Per avere un resoconto più dettagliato dell’incontro, rimando a questo bell’articolo scitto da Verusca Costenaro sul meraviglioso pomeriggio trascorso alla RSA Il Giglio.
Domenica d’infanzie e paradisi ritrovati, assieme alla poesia di Chiara Rantini
L’ARTE DI CAMMINARE NELLA VITA
Camminare è un’esperienza di vita, anzi un’esperienza di crescita.
Ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia dove stare nella natura era un valore importante.
Fin da piccolissima ho viaggiato sui mezzi pubblici (bus, treni principalmente) e ho imparato la magica arte dell’attesa, a non avere paura dei cosiddetti “tempi morti” dello stare fermi sotto la pioggia o sotto il sole fino all’arrivo di un bus. Ho capito che il tempo è prezioso non per l’accumulo di azioni da compiere (e più se ne fanno meglio è, secondo una logica capitalistico-ottocentesca che ancora fa da padrona) ma perché ci permette di pensare, di osservare, di mettersi in un atteggiamento di profonda attenzione verso l’interno e l’esterno.
Ai miei tempi, anni ’80, ancora non esisteva la concezione “slow” della vita; c’era solo un timido ecologismo nascente, alimentato da cartoni animati che i bambini di oggi non saprebbero apprezzare perché immersi in un’altra cultura, come, ad esempio, “Conan” o “Barbapapà”.
Quando sono diventata mamma, ho capito che questo valore, questa sintonia con la natura, questo elogio delle lentezza in un mondo nevrotico e proiettato sempre verso un domani di mete irraggiungibili, non poteva restare un patrimonio esclusivo ma necessitava di nuova vita, di essere trasmesso come un’eredità.
È faticoso, nel senso letterale della parola, portare dei bambini piccoli in montagna, ma è proprio la fatica che caratterizza il cammino a essere per loro, un esempio, una metafora della vita che poi dovranno affrontare. E tuttavia la montagna non è solo sacrificio. Nel periodo di apprendistato, sono compresi gli insegnamenti che permettono di limitare il dispendio di energie: come nella vita, per camminare in montagna, esistono delle strategie e delle tecniche intelligenti che facilitano la soluzione dei problemi che la natura, in tutta la sua magnificenza ed estrosità, continuamente pone. Ma anche queste cose si apprendono con l’esperienza.
Tutti desideriamo arrivare in vetta velocemente e senza grosso dispendio di energie, inizialmente. Almeno finché questo cammino è nella nostra testa e in un certo senso in una realtà virtuale. Concretamente non è così, quasi mai. La vetta talvolta non è raggiungibile perché gli ostacoli vanno oltre la nostra capacità di superamento, oppure perché non abbiamo ancora abbastanza esperienza o più semplicemente perché qualcosa di bello e di più appagante del raggiungimento della vetta ci ha fermato a metà cammino.
La conquista non è la nostra bandiera sulla vetta, non è l’onnipresente “io” ma tutto il percorso, tutto il bagaglio delle esperienze che abbiamo raccolto durante il cammino, ciò che ci arricchisce in termini di umanità e di crescita. Non sono le illusioni, le proiezioni del nostro ego o dell’ego sociale a renderci vittoriosi ma ciò che realmente siamo, uomini e donne che affrontano con onestà d’animo il cammino della vita, accettando l’impetuosità del vento, il calore del sole, il sentiero impervio e sassoso, talvolta cercando riparo e soste, talvolta esponendosi a tutto per amore di un’autenticità che è sempre più difficile trovare dentro di sé.
C. R.
LA POESIA SALVA I POETI E NON SOLO…
Nella giornata mondiale della Poesia, mi sembrava giusto lasciare un piccolo contributo per i lettori.
Solo qualche breve considerazione.
La giornata della poesia e l’inizio della primavera coincidono. Perché? Cosa hanno di simile?
Per molti popoli, l’equinozio di primavera corrisponde con l’inizio dell’anno civile e religioso.E non è un caso.
La primavera è un momento di rinascita in cui mettere a frutto le potenzialità dell’inverno.
Infatti, se la stagione invernale, con il suo caratteristico letargo, è da considerare come il tempo dell’attesa, quella primaverile segna il passaggio da un tempo di riflessione a un tempo di azione.
Non diversamente avviene nell’animo del poeta. La poesia infatti non è qualcosa che nasce di getto, uno sfogo momentaneo delle propria emotività. La poesia ha bisogno di un buon terreno arato, di cure e di concime: non nasce dal nulla ma ha un tempo di preparazione. Ecco allora che la primavera è il momento della “visibilità” della poesia, del suo affacciarsi più o meno compiutamente al mondo.
La primavera presuppone un inverno, la poesia richiede un preventivo silenzio.
Dove c’è una rinascita, c’è una nuova vita. Chiunque legga una poesia, per quanto triste o malinconica, sente rivivere dentro il proprio animo quelle parole o quelle determinate immagini evocate, scoprendo delle corrispondenze, degli afflati che contribuiscono ad aumentare o a risvegliare la percezione di sé come essere vivente facente parte di un meccanismo complesso ma, allo stesso tempo, armonico.
Chi legge poesia è un po’ poeta, in definitiva. La poesia ha bisogno del poeta e il poeta ha bisogno di chi ascolta la sua voce. Chi legge poesie ha bisogno dei poeti e così il mondo (anche quello fatto da persone che non leggono poesia) ha bisogno di una “primavera poetica” che circoli nell’aria, sospinta da un vento che non conosce confini o divisioni di nessun genere.
La poesia salva i poeti e non solo…
POESIA E VITA
La vita è respiro
dell’anima la parola;
vapore
che esce di bocca.
Nelle notti d’inverno
umida condensa,bagna, scivola
nei solchi
dell’interiorità.
Sanscrito atman
privo di confine
fuori, dentro
per contatto libero,
tra rovi di mano
e corolle
rivolte al cielo
(“Poesia e vita” da Un paradiso per Icaro, ed. Ensemble, Roma, 2018)
OMBRA, un racconto per una notte d’autunno
Un’ombra esce dal muro, nella notte invernale. È bianca e muta.
Qualcuno ride dietro ad un cancello: l’ombra avanza per ascoltare.
Con passo invisibile di piedi leggeri, si sposta, dilatandosi sulla gelida e spugnosa parete.
Non tocca il selciato il piede. Non esiste alcun piede e i passi sono un soffio nella notte.
Non potrà essere l’ospite di quella casa dietro al cancello, non potrà sedersi sulla poltrona ad attendere il vino profumato servito in calici scintillanti, né chiedere la voce di una donna per saldare il debito con la solitudine.
Non potrebbe essere altro che un ospite senza nome, con uno sguardo lontano e increspato come le onde prima di infrangersi sugli scogli.
Un tempo, non era ancora un’ombra.
Amava passeggiare sui ponti sospesi sulla ferrovia: il sibilo stridente del treno gli dava l’emozione della vita, sino quasi a soffocarla.
Prima i treni, poi l’amore e il vino.
Cercava le donne nell’oscurità.
Della città sceglieva i luoghi più inaccessibili, opachi e bui.
Saliva scale strette, umide, serpeggianti finché non urtava contro una porta sconosciuta.
Era l’ospite inatteso, quello di cui una donna poteva innamorarsi.
Ma nessuna avrebbe potuto amarlo.
Nel suo sguardo c’era qualcosa di inquietante, sconsolato, gelido che allontanava prima ancora che sopravvenisse il desiderio di conoscerlo.
Così si prolungavano senza fine i giorni trascorsi ad assaporare l’odore acre dei binari bagnati dalla pioggia e le notti che rotolavano assenti nell’attesa di un incontro.
Una sera ebbe fine la lunga attesa.
Era ancora un uomo che respirava l’aria della città quando il treno passò lentamente, sollevando minuscole gocce di vapore.
Lei sedeva nel senso contrario di marcia, avvolta in un grande scialle turchese. Due occhi punteggiati di pietre scintillanti e capelli color ebano.
Sembrava chiamarlo.
Il treno continuava la sua corsa ma forse sarebbe stato ancora possibile rispondere a quella chiamata con un cenno della mano o col battere lieve del pugno sul vetro, perché lei potesse capire che lui era vivo e disposto ad amare.
Il treno rallentò e la mano giunse a destinazione; un pugno che si tramutò in mano aperta come a ribadire una richiesta di pace e di oblio.
Lei sorrideva. Era certo che sorrideva. Lei lo aspettava da tempo, non c’era alcun dubbio.
Perché allora la mano scivolò sull’umida trasparenza, perché il lembo della giacca si legò ad un’estrema parte della ruota, perché tutto divenne nero come la notte e sparì la luce di quegli occhi?
Solo un’ombra. Un’ombra che ancora osserva con occhi invisibili il mondo che continua il suo giro. Un’ombra che sente ma non può raccontare. Un’ombra che ricorda il passato e non chiede niente al futuro.
Nel silenzio della notte anche ciò che non esiste ha una possibilità: finché il treno non riprende a fischiare.
Poesia e vita
Poesia e vita è il componimento che apre la silloge di “Un paradiso per Icaro”. Costituisce l’incipit della prima delle tre sezioni, Partenze, in cui è diviso il libro. In essa è presente uno dei temi più importanti della silloge: il rapporto tra la vita e la poiesis intesa come atto creativo.
Poesia e vita
La vita è respiro
dell’anima la parola;
vapore
che esce di bocca.
Nelle notti d’inverno
umida condensa,
bagna, scivola
nei solchi
dell’interiorità.
Sanscrito atman
privo di confine
fuori, dentro
per contatto libero,
tra rovi di mano
e corolle
rivolte al cielo
UN PARADISO PER ICARO
NEWS!!!
Settembre 2018: È stata pubblicata da Ensemble edizioni la mia silloge poetica
UN PARADISO PER ICARO
UNO SGUARDO AI PROTAGONISTI: Lena e Janis
I protagonisti del romanzo sono Lena, una ragazza di circa vent’anni e Janis, un uomo più grande di lei ma ancora giovane. Quasi tutta la vicenda ruota intorno a loro e sarebbe impossibile descrivere gli altri personaggi senza prima aver conosciuto questa coppia.
Per descriverli, ho scelto di avvalermi di un’immagine. Si tratta dell’opera di una pittrice inglese contemporanea M. Kreyn, dal titolo “Alone together”.
Raffigura una donna dal volto sofferente che tiene una mano tra i capelli dell’amato. Lui ha il capo reclinato e nasconde il viso tra il collo e la spalla dell’amata. Ha un’espressione di dolore infantile e sembra cercare protezione e comprensione. La donna invece, pur trattenendolo a sé, non guarda verso il suo uomo. Gli occhi fissano un punto lontano, qualcosa che si perde in un altro mondo, un mondo che solo lei conosce. Il braccio teso che regge la testa dell’uomo sembra essere il simbolo dell’attaccamento alla contingenza, lo sguardo che vaga in lontananze siderali, il simbolo della speranza in una diversa realtà. Del volto dell’amato non si vede molto: gli occhi sono chiusi, la mascella è contratta nella morsa della sofferenza ma il resto del corpo sembra abbandonarsi al sostegno che offrono le membra della donna.
Credo non esista immagine migliore per descrivere il legame tra Lena e Janis. Bisogno di protezione, dolore, incomprensione, distanza, speranza sono elementi che caratterizzano la loro vicenda fin dal primo incontro.
Lena, capelli scuri e occhi tesi verso il futuro, vorrebbe lasciarsi alle spalle un passato familiare opprimente e povero di affetto ma, per la sua giovane età, è ancora molto insicura. La pittura, che pratica come pura arte di evasione da una realtà dolorosa, è per lei un sostegno e un punto di riferimento nella ricerca della propria identità. E tuttavia sa che non può vivere solo per l’arte. Dentro l’anima sente una forza incontenibile, quasi traboccante, che la spinge a entrare nel tormentato mondo della malattia mentale di Janis, come se dovesse vincere una sfida con se stessa. Caparbia, dolce ma non remissiva, Lena, nei meandri dell’oscuro male di Janis, ritroverà anche quella parte di sé che era rimasta in ombra. Come è possibile intuire nello sguardo della donna dipinta nella tela dell’artista inglese, insieme al desiderio di evadere in una realtà meno dolorosa, emerge in Lena anche la speranza, o meglio la consapevolezza, dell’esistenza di una via d’uscita.
Janis, invece, non ha un solo volto: il suo sguardo muta al mutare delle condizioni interiori. Silenzioso e introverso all’apparenza, in realtà cela dentro l’anima un fuoco distruttore capace di travolgere anche ciò che più gli è caro. I suoi occhi sono chiari ma non limpidi. Il dubbio di non essere amato assume i tratti di uno stato paranoico. Gli attacchi di follia sembrano essere scatenati da un demone interiore che lascia lo stesso Janis senza più forze né volontà. Il folle musicista vorrebbe essere insensibile come un autonoma e riservare tutta la carica data delle emozioni per eccellere nella musica, ma non può farlo. L’amore fraterno è un’inspiegabile eccezione nella sua vita chiusa ad ogni legame. Janis che, nelle relazioni, conosce solo il meccanismo della distruzione, nutre sincero affetto per il proprio fratello, un affetto che è quasi una simbiosi. Se Janis tenta il suicidio è perché, a differenza di Lena, non vede una via d’uscita. Di Lena ama tutto ma è non crede alla profondità del loro legame. Probabilmente vorrebbe riproporre il modello di rapporto che ha con Adrian, ma Lena è diversa e soprattutto, suscita in lui, emozioni e pensieri diversi. Infatti Janis conosce per la prima volta la passione e ne ha paura.
Davanti all’incertezza e all’alternanza di riavvicinamenti e allontanamenti, la loro relazione sembra perdersi in un labirinto senza fine, senonché il grido delle realtà di una nuova vita in arrivo, riporta il legame sui binari della speranza. Più forte del delirio di Janis è l’apparire di una creatura che è la personificazione dell’amore, di quell’amore scevro dal tarlo del possesso, delle incomprensioni, delle delusioni. E solo quando Janis comprende la superiorità di questo amore accetta di essere ciò che è: un uomo fragile che, nonostante tutte le debolezze, può osare ad amare. È questo il punto di congiunzione delle anime, laddove anche solo per un attimo, Janis, Lena e Adrian si trovano nella più totale comprensione. Finalmente non sono più “da soli insieme”.