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OMBRA, un racconto per una notte d’autunno
Un’ombra esce dal muro, nella notte invernale. È bianca e muta.
Qualcuno ride dietro ad un cancello: l’ombra avanza per ascoltare.
Con passo invisibile di piedi leggeri, si sposta, dilatandosi sulla gelida e spugnosa parete.
Non tocca il selciato il piede. Non esiste alcun piede e i passi sono un soffio nella notte.
Non potrà essere l’ospite di quella casa dietro al cancello, non potrà sedersi sulla poltrona ad attendere il vino profumato servito in calici scintillanti, né chiedere la voce di una donna per saldare il debito con la solitudine.
Non potrebbe essere altro che un ospite senza nome, con uno sguardo lontano e increspato come le onde prima di infrangersi sugli scogli.
Un tempo, non era ancora un’ombra.
Amava passeggiare sui ponti sospesi sulla ferrovia: il sibilo stridente del treno gli dava l’emozione della vita, sino quasi a soffocarla.
Prima i treni, poi l’amore e il vino.
Cercava le donne nell’oscurità.
Della città sceglieva i luoghi più inaccessibili, opachi e bui.
Saliva scale strette, umide, serpeggianti finché non urtava contro una porta sconosciuta.
Era l’ospite inatteso, quello di cui una donna poteva innamorarsi.
Ma nessuna avrebbe potuto amarlo.
Nel suo sguardo c’era qualcosa di inquietante, sconsolato, gelido che allontanava prima ancora che sopravvenisse il desiderio di conoscerlo.
Così si prolungavano senza fine i giorni trascorsi ad assaporare l’odore acre dei binari bagnati dalla pioggia e le notti che rotolavano assenti nell’attesa di un incontro.
Una sera ebbe fine la lunga attesa.
Era ancora un uomo che respirava l’aria della città quando il treno passò lentamente, sollevando minuscole gocce di vapore.
Lei sedeva nel senso contrario di marcia, avvolta in un grande scialle turchese. Due occhi punteggiati di pietre scintillanti e capelli color ebano.
Sembrava chiamarlo.
Il treno continuava la sua corsa ma forse sarebbe stato ancora possibile rispondere a quella chiamata con un cenno della mano o col battere lieve del pugno sul vetro, perché lei potesse capire che lui era vivo e disposto ad amare.
Il treno rallentò e la mano giunse a destinazione; un pugno che si tramutò in mano aperta come a ribadire una richiesta di pace e di oblio.
Lei sorrideva. Era certo che sorrideva. Lei lo aspettava da tempo, non c’era alcun dubbio.
Perché allora la mano scivolò sull’umida trasparenza, perché il lembo della giacca si legò ad un’estrema parte della ruota, perché tutto divenne nero come la notte e sparì la luce di quegli occhi?
Solo un’ombra. Un’ombra che ancora osserva con occhi invisibili il mondo che continua il suo giro. Un’ombra che sente ma non può raccontare. Un’ombra che ricorda il passato e non chiede niente al futuro.
Nel silenzio della notte anche ciò che non esiste ha una possibilità: finché il treno non riprende a fischiare.